FAST – but – a lot of- trash – FASHION (pt.3)

La mia esperienza

Ricordo benissimo quando sono entrata per la prima volta in un negozio di vestiti vintage, trascinata dal mio ragazzo dell’epoca, lui entusiasta di trovare cimeli adatti al suo stile da centauro, io invece perplessa e quasi schifata (lui si ricorderà ancora le mie facce e starà ridendo.. ma vabbè, ciao S.). Un labirinto di vestiti e roba ammassata.. pensavo solo: sono una 16enne negli anni 2000.. ma cosa ci si può trovare di bello in tutto questo?! Io ambivo ad andare, a fare un giro a Monaco per entrare da H&M (in Italia non esisteva) e comprare i pantaloni per pochi euro a vita bassa, non avevo bisogno di quella “robaccia”.

Quando ero piccola infatti la fast fashion non esisteva, almeno in Italia. Era qualcosa che non apparteneva alla nostra cultura, ma che lentamente, negli anni, è riuscita a conquistarci e a comparire un po’ ovunque: bancherelle del mercato, centro storici e centri commerciali. Piccole attività o grandi catene non importa. La logica del prezzo basso è l’unica cosa che oggi conta. Fino a 20/30 anni fa erano importanti solo le grandi firme, con il loro appeal dorato e inarrivabile. Ci si concedeva quella “follia” una volta ogni tanto, ma poi lentamente le abbiamo in molti casi rimpiazzate con armadi zeppi di vestiti low cost.

Da questo momento in poi, e fino ad arrivare ad oggi, non si è più pensato alla qualità, l’importante era possedere, a prezzo basso, anzi più basso possibile. La fast fashion ci ha conquistato con le sue collezioni infinite, di mille stili diversi, in negozi con la musica a palla e dove magicamente i commessi non esistevano (quasi) più. Figata! Qui si poteva toccare tutto, provare tutto, più volte, per ore, senza sentirci giudicati o in imbarazzo. Non so voi, ma io ero diventata bravissima a farci stare dentro un certo budget, l’acquisto di più capi possibili.

Poi, dopo qualche anno, è arrivato per me il tempo dell’università e questo è stato un momento cruciale, per il mio modo di vedere il mondo. Ero una studentessa fuori sede e ho dovuto rivalutare certe priorità. Volevo fare mille esperienze ma dovevo anche incastrarle tutte conciliando il tempo con lo studio e un certo budget, contavo sulla famiglia ma non avevo un lavoro fisso e non era fattibile per me permettermi tante cose.

Ho convissuto per un periodo con una ragazza, lei non era una studentessa fuori sede e la casa dove abitavamo era sua. Un giorno mi chiede di aiutarla a sistemare i vestiti: una cabina armadio e un armadio pieno zeppo di vestiti e scarpe e tanti capi ancora con il cartellino attaccato. In quel periodo, lei adorava andare al mercato rionale settimanale sotto casa a comprarsi qualcosa, ovviamente “facendo un affare”. Li in quel momento ho capito la follia della moda di oggi e come la situazione può facilmente sfuggire di mano: si vive costantemente nella frenesia del “l’affare” quello con la A maiuscola, senza considerare minimamente tutto il resto.

Cercando di aiutare la mia amica, non abbiamo solo riordinato insieme, ma abbiamo anche ragionato sugli aspetti che l’avevano portata ad accumulare così tante cose. A fine giornata, distrutta dal pazzo riordino, mi sono portata in camera mia anche un sacchetto di cose sue che lei non usava più.. Fino a quel momento non avevo mai ricevuto e accettato in regalo vestiti da persone esterne alla mia famiglia, anche perché mi aveva sempre “fatto brutto”, la vedevo una cosa quasi di cui vergognarsi.. ma da quel momento in poi qualcosa è cambiato: ho pensato che quelle cose non mi erano solo utili, erano capi a cui stavo dando una seconda chance.

E’ così che, frastornata da questa esperienza, ho iniziato un periodo di digiuno dallo shopping dove, forse per il karma o probabilmente semplicemente per i casi della vita, senza che io lo chiedessi a loro, altre amiche in altri contesti, mi hanno regalato dei loro vestiti. Questo mi ha permesso di iniziare a pormi delle domande e chiedermi: fino a che punto si può produrre capi, venderli e poi noi stiparli negli armadi? Ci sono cose che indosso, ancora perfette, che ho dalle superiori.. cose che mi ha dato anche mia madre che hanno più dei miei anni e sono ancora belle e attuali.. Come siamo passati dall’odore di naftalina dei negozi vintage all’odore di plastica tipico dei negozi fast fashion?

Il motivo è perché viviamo in un mondo che è passato dal conservare al consumare.. ma questo purtroppo non può avvenire all’infinito, le risorse della terra non loro sono. Qualcosa deve cambiare. Soprattutto qualcosa nel mio modo di spendere i i soldi deve cambiare!

Come consumatrice ho deciso, che se devo comprare qualcosa, d’ora in avanti devo ragionare nel seguente modo: 1) Mi serve davvero? (Quindi, nessun acquisto d’impulso, quasi tutto è ragionato, pensato, pianificato..); 2) Seguo il più possibile la logica del “poco ma buono” e ci riesco soprattutto evitando le grandi catene e rivolgendomi principalmente a negozi, fisici o online, dove si comprano solo prodotti di qualità con certificazioni verificabili; 3) La qualità prevede il prediligere capi interamente prodotti con fibre rigenerate oppure con tessuti naturali & bio (è un mondo da scoprire, ne parleremo più avanti); 4) Mi affido a marchi più di nicchia che nascono con la mission di produrre prodotti più rispettosi dell’ambiente e della manodopera, non a grandi catene che decino di fare la linea green;

Nonostante queste consapevolezze, non sono perfetta e certe volte qualche compromesso lo faccio, ma l’agire in questo modo mi fa sentire più soddisfatta e anche leggera…e perché no?! Organizzata: il mio armadio è il più organizzato di sempre.

E voi come vivete il vostro rapporto con lo shopping? Pensate che vi possano essere utili delle dritte per comprare meglio? Fatemi sapere.